di Maria Cristina Urbano – 11 Settembre 2024

Il video dei medici e degli operatori sanitari barricati in un ospedale pugliese ha fatto recentemente il giro delle televisioni e del web e ha riportato all’attenzione del grande pubblico un tema sul quale ASSIV ha ripetutamente richiamato l’attenzione delle competenti istituzioni: quello della sicurezza nei presidi sanitari.

Il Parlamento, negli ultimi anni, ha più volte affrontato il problema per individuare soluzioni alternative alla strada più semplice, ossia quella di prevedere la presenza fisica nelle strutture di operatori della sicurezza, ma che tuttavia risulta impraticabile per la oramai cronica carenza di personale delle Forze dell’Ordine. Recentemente, con l’approvazione nell’agosto del 2020 della legge n. 113, è stato fatto un importante passo avanti nel tentativo di rafforzare la tutela della sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie.

Sebbene la norma in questione sia figlia dell’onda emotiva generata dalle immagini di infermieri e medici che – stravolti – avevano combattuto e si stavano ancora battendo contro la pandemia da Covid-19, le disposizioni in essa contenute avrebbero potuto porre le condizioni per un netto miglioramento della situazione, a vantaggio di operatori e pazienti.

Ebbene, da quanto possiamo constatare, purtroppo le cose stanno andando diversamente. Come mai?

Cosa dice la Legge n. 113 dell’agosto 2020

È utile iniziare con il rileggere rapidamente la norma, che ha i suoi assi portanti da un lato sull’istituzione di un Osservatorio, che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto raccogliere dati quantitativi e qualitativi del fenomeno e proporre soluzioni praticabili, dall’altro su un inasprimento delle pene o delle sanzioni per coloro che si rendono rei di tali odiosi crimini.

In particolare, l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie, istituito presso il Ministero della Salute, ha il compito di monitorare: gli episodi di violenza subiti dagli operatori nell’esercizio delle loro funzioni; gli eventi sentinella che possano dar luogo ai suddetti fatti; l’attuazione delle misure di prevenzione e protezione previste dalla disciplina in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, anche promuovendo l’utilizzo di strumenti di videosorveglianza; la promozione di studi per la formulazione di proposte e misure idonee a ridurre i fattori di rischio negli ambienti più esposti; la diffusione delle buone prassi in materia di sicurezza; corsi di formazione per il personale medico e sanitario, finalizzati alla prevenzione e gestione di situazioni di conflitto nonché a migliorare la qualità della comunicazione con gli utenti.

La norma interviene, inoltre, sull’art. 583-quater c.p. per prevedere che le lesioni gravi o gravissime procurate in danno di personale esercente una professione sanitaria o socio-sanitaria siano punite con pene aggravate (per le lesioni gravi, reclusione da 4 a 10 anni, e per le lesioni gravissime, reclusione da 8 a 16 anni). È stata introdotta, tra le circostanze aggravanti comuni del reato, l’avere agito, nei delitti commessi con violenza e minaccia, in danno degli esercenti le professioni sanitarie o socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni.

Si è prevista – salvo che il fatto costituisca reato – la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 500 a euro 5.000 per chiunque tenga condotte violente, ingiuriose, offensive, ovvero moleste nei confronti di personale delle strutture sanitarie e socio sanitarie pubbliche o private.

Si è istituita, infine, la “Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari” con l’obiettivo di sensibilizzare sul fenomeno e sulle sue conseguenze.

Lo scenario attuale, i dati dell’Osservatorio relativi alla Sicurezza dei Presidi Sanitari e l’analisi di ASSIV

La giornata nazionale è stata istituita nel 2022, ed è il 12 marzo: da allora i dati divulgati dall’Osservatorio dipingono una situazione tutt’altro che in fase di miglioramento. Ecco quelli diffusi a marzo 2024: nel 2022 i casi di violenze, aggressioni e minacce nei confronti del personale sanitario accertati dall’Inail sono stati 2.243, in aumento del 14% rispetto all’anno precedente. Si tratta soprattutto di episodi di violenza esercitata da persone esterne all’azienda (reazioni da parte dei pazienti o dei loro familiari) e, in minor misura, di liti e incomprensioni tra colleghi. Nel triennio 2020-2022 i casi di violenza nella sanità e assistenza sociale sono stati circa seimila, con un’incidenza del 41% rispetto a tutti quelli registrati nello stesso periodo tra i lavoratori dell’Industria e dei servizi. Circa il 70% ha riguardato le donne, mentre per entrambi i generi il 39% interessa personale socio-sanitario tra i 50 e i 64 anni (per le donne la quota sale al 40%), poco più del 36% tra i 35 e i 49 anni, il 23% fino a 34 anni e l’1% oltre i 64 anni. Ancora, la categoria dei tecnici della salute è quella più coinvolta in violenze e aggressioni, con circa il 41% del totale, seguita dalle professioni qualificate nei servizi sanitari e sociali (27%) e da quella dei servizi personali e assimilati (13%). Più distaccata, con il 3,5% dei casi di aggressione in sanità, la categoria dei medici, che non include nell’obbligo assicurativo Inail i medici di base e i liberi professionisti. Quasi un’aggressione su tre è avvenuta nel Nord-Ovest (17% in Lombardia e 8% nel Piemonte), il 28% nel Nord-Est (14% in Emilia Romagna e 9% in Veneto), il 22% nel Mezzogiorno (7% in Sicilia e 5% in Puglia) e il 19% al Centro (9% in Toscana e 6% nel Lazio). Circa il 59% dei casi ha comportato una contusione, il 22% una lussazione, distorsione e distrazione, l’8% una frattura e il 7% una ferita. La principale sede del corpo coinvolta nelle violenze è la testa (13% faccia, 9% cranio, 4% naso), seguita da parete toracica (9%), cingolo toracico (8%), polso (7%) e colonna vertebrale/cervicale (6%).

Come detto, compito dell’Osservatorio è di fornire dati, ma anche di suggerire come intervenire per risolvere una situazione così critica.

Nel report i tempi di attesa e la burocrazia sono indicati come i principali fattori di rischio. La complessa relazione tra l’operatore sanitario, i pazienti o i loro familiari, dalla quale possono sfociare episodi di aggressione, può essere migliorata attraverso procedure organizzative volte a ridurre la burocrazia e i tempi di attesa per l’erogazione delle prestazioni sanitarie, ad aumentare e rendere più puntuale l’informazione e a incrementare la partecipazione, con l’eliminazione di barriere culturali e linguistiche.

Tutte misure sensate e ragionevoli, ma allora: come mai la situazione non migliora?

A nostro parere perché, rimanendo con una metafora in campo sanitario, bisogna stabilizzare il paziente prima di iniziare a curarlo. In sostanza, la norma introduce misure estremamente efficaci per la prevenzione, ma queste richiedono cambiamenti anche radicali su una molteplicità di aspetti, come quello culturale o quello relativo alla gestione degli ospedali, che hanno bisogno di lunghi lassi di tempo per sedimentare. Nel frattempo il personale medico continua a sentirsi emotivamente in prima linea, senza protezione, soprattutto nelle strutture sanitarie che sono davvero in periferia e che, proprio per questo, assolvono ad una funzione indispensabile che non viene minimamente riconosciuta, e il paziente resta esposto all’impersonale brutalità di una burocrazia che lascia impotenti nel momento del maggiore bisogno e della maggiore vulnerabilità.

Dunque, ecco che il riflesso condizionato generato dalla diffusione della notizia dell’ennesima aggressione al personale medico consiste nel chiedere a gran voce la presenza nelle strutture sanitarie nientemeno che dell’Esercito! Ovvio, si vuole cercare di stabilizzare il paziente, cioè di eliminare la principale condizione di vulnerabilità, il rischio di rimanere esposti, indifesi, alla violenza altrui.

ASSIV: possibili soluzioni al problema della Sicurezza dei Presidi Sanitari

In proposito, ho recentemente pubblicato un articolo nel quale ho provato a spiegare quale uso poco efficace e per niente efficiente sia quello dei nostri militari in compiti di ordine pubblico.  Non posso, pertanto, che considerare alla stessa stregua un loro eventuale impiego negli ospedali. La soluzione più naturale sarebbe tornare a garantire un forte presidio degli agenti delle Forze dell’Ordine in ogni struttura, ma anche questa soluzione, come più sopra ricordato, risulta impraticabile a causa della loro persistente carenza di organicoil cui impiego è invece indispensabile in compiti più alti e non delegabili.

Esiste una soluzione? A conti fatti, è proprio il caso di dirlo, sì! Esiste in Italia un importante comparto, quella della vigilanza privata, già incardinato dalla vigente normativa nel sistema sicurezza Paese, che ha le competenze professionali e organizzative e le dotazioni tecnologiche atte a svolgere questa importante funzione, e a costi certamente molto

minori che non piuttosto l’assunzione di nuovo personale nelle FF.OO. Ma ovvio che servono le risorse finanziarie perché, come ricorda la saggezza dei nostri nonni: non si può fare il matrimonio con i fichi secchi. Ma non basta, in questo, come in molti altri settori della Pubblica Amministrazione nei quali la vigilanza privata già opera, è necessario dotarsi di Security Managers capaci di affiancare la Direzione Sanitaria e Amministrativa nella corretta valutazione dei rischi pertinenti ciascuna struttura, passaggio propedeutico indispensabile per la redazione di bandi di gara rivolti alla vigilanza privata, capaci di ottimizzare l’impiego delle risorse pubbliche e l’efficacia del servizio, a vantaggio di operatori, pazienti e utenti in genere.

Perché, lanciamo l’idea, l’Osservatorio non decide di avvalersi di professionisti della sicurezza che, leggendo e interpretando correttamente i dati raccolti, anche con l’ausilio delle Associazioni di Categoria della vigilanza privata che hanno il vantaggio di operare sul campo, possano stendere delle linee guida per la predisposizione dei bandi di gara per l’affidamento dei servizi di vigilanza? Non sarebbe il solito, e alquanto inefficace, esercizio teorico più volte svolto dalle centrali di committenza che, prive delle necessarie competenze tecniche specifiche, non riescono a produrre bandi di gara adeguati. Una tale soluzione significherebbe “fare sistema”: una P.A. capace di raccogliere i dati, interpretarli e, avvalendosi degli specialisti del settore, tradurli in bandi di gara capaci di ottimizzare l’impiego dei soldi pubblici e garantire la sicurezza di operatori sanitari e pazienti; gli Istituti di vigilanza privata finalmente posti nelle condizioni di svolgere al meglio un lavoro delicato, con remunerazioni adeguate alle professionalità impiegate, anche in funzione sussidiaria alle Forze dell’ordine, laddove un serio risk assessment suggerisse la presenza contemporanea di Forza Pubblica e Vigilanza Privata; Forze dell’Ordine ed Esercito libere di svolgere le funzioni essenziali loro destinate dalla Costituzione.

Conclusione

Sembra tutto semplice, vero? Bisognerebbe solo individuare chi continua a mettere sabbia nell’ingranaggio… e intanto Stato e contribuente, illudendosi di poco spendere, tanto spandono…

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