Prosegue speditamente l’esame del disegno di legge presentato al Parlamento dal Ministro dell’Interno Piantedosi recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario”. La cosa di per sé non deve suscitare alcuna meraviglia, trattandosi di un provvedimento di iniziativa governativa che affronta temi sensibili per il comparto sicurezza e, una volta tanto, non per mezzo di decretazione d’urgenza, che nella nostra Repubblica parlamentare sembra oramai l’unico strumento per legiferare su materie di rilievo. E non desta meraviglia nemmeno il fatto che sia l’ennesimo di una lunga serie di provvedimenti legislativi che intervengono sulla materia della sicurezza, essendo purtroppo la regola quella della normazione schizofrenica e parcellizzata su temi che al contrario richiederebbero una legislazione sistematica ed organica. Ciò che invece, dal punto di vista di un operatore della sicurezza privata, continua a destare incredulità è la pervicacia con la quale ogni Esecutivo, a prescindere dal suo colore, in questo guidati da una Amministrazione certamente obsoleta nella sua formazione culturale, ignora la necessità di implementare la cooperazione tra settore pubblico e privato per implementare il sistema sicurezza Paese e renderlo moderno, al pari di quanto accade nei principali Paesi europei ed occidentali in genere.

Anche questo nuovo intervento legislativo, pertanto, sarà una occasione persa per tentare di consolidare quanto nel TULPS e nella normativa di settore si è abbozzato appena: una concreta, efficace partnership tra pubblico e privato, capace di superare previsioni obsolete, figlie di un tempo che fu e che non hanno più ragion d’essere. Battaglie vecchie, per noi che le combattiamo da anni, ma che raramente hanno avuto gli onori della cronaca e di un serio dibattito pubblico. Mi riferisco, in primis, alla limitazione inderogabile che l’ordinamento pone in capo alla vigilanza privata di svolgere la propria attività a tutela delle persone e non solo dei beni immobili. Alcune importanti deroghe a questo principio sono state introdotte nel tempo: pensiamo al servizio di antipirateria a bordo del nostro naviglio commerciale o ai servizi svolti dalle guardie giurate nei porti, aeroporti, stazioni ecc. Dire che i nostri operatori, in tali contesti, sono chiamati a proteggere i beni anziché le persone, significa volersi nascondere dietro un dito. Un atteggiamento ipocrita che solitamente denota la consapevolezza di un problema ma l’incapacità di affrontare le sue possibili soluzioni. Il disegno di legge in questione interviene su questioni assai delicate come la gestione delle carceri, la sicurezza nei nostri centri urbani, la gestione del fenomeno dell’immigrazione irregolare. Ebbene tutti temi sui quali la vigilanza privata da anni sarebbe attrezzata ad agire con piena efficacia, sempre sotto l’indirizzo, il coordinamento e il controllo delle Forze dell’Ordine, liberando queste ultime da incombenze che certamente potrebbero essere delegate per ottimizzare l’operatività su altre e ben più importanti attività che invece non lo sono.

Ma parlare di queste cose assurge a reato di lesa maestà per quanti, e sono tanti, non riescono a liberarsi di una sovrastruttura culturale tipica del XX secolo o, meglio, della prima metà del secolo scorso.

E così si continua a produrre norme che inaspriscono le pene per vecchi reati o ne introducono di nuovi, si apre il vaso di pandora della creatività italica per cercare di coprire tutto con una coperta, quella delle risorse umane e strumentali delle Forze dell’Ordine, che è oramai troppo piccola, con il rischio concreto di lacerarla a forza di tirare. Si impiega l’Esercito con compiti di piantonamento, gettando alle ortiche addestramento e professionalità la cui formazione è costata tanti soldi alla collettività, senza peraltro nessuna garanzia che tale addestramento possa davvero risultare utile in compiti di pubblica sicurezza: il fatto che utilizzino entrambi la palla, non rende intercambiabili sul campo di gioco un calciatore e un giocatore di basket… senza contare, temo, la frustrazione che proveranno professionisti delle Forze Armate nel trascorrere le loro giornate dinanzi un’Ambasciata o una fermata della Metro!

Eppure, le modernissime e tecnologicamente avanzate centrali operative degli Istituti di Vigilanza sarebbero perfettamente in grado, ad esempio, di controllare da remoto il territorio urbano per mezzo delle migliaia di videocamere che gestiscono; oppure potrebbero garantire il controllo dei detenuti in libertà vigilata tramite i cosiddetti braccialetti elettronici; per non parlare delle attività di gestione dei centri per l’identificazione e l’ospitalità degli immigrati irregolari. Il tutto con costi assai più ridotti per lo Stato, e probabilmente in maniera più efficiente perché sono strutture dotate di tecnologie e professionalità facilmente impiegabili per tali operazioni. Quante risorse libererebbero le Forze dell’Ordine per impieghi più alti? Certamente tante.

Ma sono temi sui quali nel nostro Paese non è possibile un confronto aperto, perché si travalica subito nell’ideologizzazione del dibattito. E per una politica tutta presa dalla gestione dell’oggi, richiede una capacità di proiezione sul domani che è ancora largamente deficitaria.

Ma ASSIV non si stancherà di porre tali questioni all’attenzione di istituzioni e opinione pubblica, nella convinzione che prima o poi risulterà a tutti evidente che il nostro Paese non può più permettersi di sprecare risorse e professionalità, rinunciando al contempo allo sviluppo di un comparto che potrebbe garantire occupazione, reddito, entrate fiscali e, soprattutto, sicurezza.

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